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Sette Giorni di Vuoto

 

Qualche tempo fa, in un paese di qualche migliaio di persone, ci furono degli omicidi. La notizia di qualche omicidio non è nulla di sconvolgente come alcuni di certo penseranno. Quello che invece sconvolse il piccolo paese di Denkel fu quello che avevano in comune i delitti. Il Dipartimento di Polizia di Denkel non si era mai trovato davanti a un simile caso e non sapevano più come uscirne. Edward Rossics era l’uomo sulle cui spalle pesava l’incalcolabile peso di tutto quel caos. A quei tempi era lui a capo del Dipartimento e tutto il paese di Denkel era dell’opinione che non potevano essere in mani migliori. 

Edward era un uomo sulla quarantina, che in carriera aveva ricevuto molti riconoscimenti, tra cui una medaglia al valore, quando aveva salvato la vita ad alcuni compagni durante una violenta rivolta. In quell’episodio era stato colpito alla schiena da tre proiettili ma, per fortuna o per volere divino, nessuno aveva colpito organi vitali. In seguito fu ricoverato in gravi condizioni e appena fu guarito tornò subito al lavoro. Nei suoi successivi dieci anni di carriera, prima l’intera regione e poi l’intero Stato avevano chiesto il suo appoggio nei casi più delicati e complessi e lui li aveva risolti tutti in maniera impeccabile. Aveva conseguito ulteriori riconoscimenti e medaglie, fino a ricevere il soprannome di Edward L’Infallibile. E non dimenticava mai di vantarsene quando parlava del suo lavoro, ovvero ogni giorno. Nonostante la fama, non aveva mai lasciato Denkel perché amava quella città quasi quanto la sua splendida moglie. Iris era una donna dall’eleganza e la bellezza smisurate. Lavorava all’ospedale di Denkel come chirurga, ed era stata lei a salvare la vita a Edward. Quando lui fu dimesso dall’ospedale, aveva iniziato a corteggiarla e lei ne era stata felice. Tre anni dopo diventarono marito e moglie e andarono ad abitare insieme in una modesta villa nella parte ovest di Denkel. 

In quel periodo di difficoltà del marito non mancava di stargli accanto e sostenerlo.   

Edward era vicino al crollo mentale e se non fosse stato per Iris sarebbe già impazzito. In tutta la sua vita non si era mai trovato davanti a un caso come questo. Lui, Edward L’Infallibile, lavorava a questo caso da un mese e ancora non ne era venuto a capo. Il suo quarantunesimo compleanno se lo sarebbe dimenticato se non fosse arrivata sua moglie con una torta colma di candeline per distoglierlo dal caso. Edward la ringraziò prendendone una fetta e baciandola sulle labbra, poi tornò con lo sguardo sul cumulo di fogli che stavano accatastati sul tavolo. C’erano schedari, ritagli di giornale, foto e numeri da chiamare o già chiamati. C’era tutto tranne la soluzione.

Il primo raggio di sole si proiettò sul mucchio di fogli e catturò per un istante l’attenzione di Edward. Erano le sei e lui ancora non era andato a dormire. Le palpebre vibravano in preda a tic nervosi e cercavano di imporre la loro volontà di chiudersi. Edward sentiva la testa scoppiare e la lucidità era stata cancellata insieme al nero della notte.

≪Edward, vieni a dormire.≫

Iris si era svegliata e non avendo trovato il marito accanto a lei era andata a controllare in soggiorno.

≪Tra un po’ cara.≫ 

≪Subito Edward. Non sto scherzando. Non ti servirà a nulla stare sveglio tutta la notte e stancarti così tanto. Se vuoi ragionare a mente lucida hai bisogno di riposo.≫ 

≪Hai ragione. E’ solo che…≫

≪Che non riesci a darti pace. Lo so. Ma ora vieni a riposarti e vedrai che quando ti sveglierai riuscirai a ragionare meglio.≫

≪Si…ma io… io sono Edward L’Infallibile e allora perché non riesco a venire a capo di questo caos.)≫

≪Per gli altri sarai anche Edward L’Infallibile, ma per me sei sempre stato e sarai sempre Eddie Raggio di Luna e la tua mente ha bisogno di dormire per poter lavorare.≫

Raggio di Luna. Quel soprannome era il loro segreto. La prima volta che fecero l’amore era una notte stupenda. I loro corpi si erano uniti all’aperto, sotto una splendida luna che brillava accompagnata da una miriade di stelle. Era stato bellissimo per entrambi. E lei per ricordare per sempre quella sera, in cui aveva conosciuto l’amore per la prima volta, l’aveva chiamato Edward Raggio di Luna.

≪Si hai ragione. Scusa.≫

Edward si alzò dalla sedia e si recò verso la moglie e le diede un bacio. Lei tornò in camera, seguita da lui, e si rimise a letto. Edward si sedette sul bordo e si passò le mani tra i capelli prima di iniziare a svestirsi. Quand’ebbe finito s’infilò sotto le coperte. Iris si avvicinò a lui e iniziò a coccolarlo dolcemente. Non ci volle molto prima che lui cadde in un sonno profondo. Iris lo guardò mentre dormiva e sorrise, infine si riaddormentò anche lei.


Un mese prima. La scomparsa di Bryan.

Erano passate da poco le otto di sera quando Charles Lenker aveva chiamato il Dipartimento di Polizia di Denkel per denunciare la scomparsa di suo figlio Bryan, in ritardo ormai da più di due ore. Margareth se ne stava seduta accanto al tavolo in preda a un attacco di ansia. La sua mente iniziava a formulare ipotesi dolorose e le lacrime iniziarono a farle bruciare gli occhi. 

Non poteva crederci, non voleva crederci.

Il pensiero che Bryan fosse stato rapito oppure ucciso, era come un coltello rovente cosparso di sale che prima s’infilza nel cervello e poi inizia a roteare. 

≪Han detto che lo cercheranno…≫

Il tono di Charles era debole e affranto almeno quanto l’aspetto della moglie. Si strinsero in un abbraccio e piansero insieme. Passarono la notte insonne, accanto al telefono, nella speranza che la polizia chiamasse per annunciare il ritrovamento del piccolo. Per un intera settimana Edward, insieme ad altri agenti, perlustrarono ogni zona di Denkel, interrogando ogni persona riguardo la scomparsa del piccolo Bryan. Non trovarono nessuna informazione, nessun indizio.

Nulla… 


Sette giorni dopo la scomparsa di Bryan…

Charles e Margareth, uscirono di casa per andare a fare la spesa. Ci impiegarono poco più di un’ora e alle venti erano già di ritorno a casa. Nonostante l’ora faceva ancora molto caldo ed entrambi erano assetati, così Margareth aprì il frigorifero e riempì due bicchieri d’acqua. Bevvero tutto di un fiato e poi come ogni sera, da una settimana, si sedettero sul divano in salotto accanto al telefono, nella speranza di ricevere notizie sul loro bambino. Col passare dei minuti le palpebre divennero sempre più pesanti e il mondo circostante sempre più sfocato, fino a quando entrambi non caddero in un sonno profondo. Non sapevano che non si sarebbero mai più risvegliati… 

≪Ho ucciso due persone. Mi trovo al 22 di Foxrat Street≫

La chiamata s’interruppe subito dopo. Edward insieme a due suoi colleghi salirono a bordo della volante e sfrecciarono a sirene accese verso l’indirizzo ricevuto per telefono. La destinazione era abbastanza vicina e non ci vollero più di cinque minuti per raggiungerla.

Scesero dalla macchina con le pistole in pugno e avanzarono verso l’ingresso. La porta era socchiusa e lasciava uscire uno spiraglio di luce gialla. Dall’interno non proveniva alcun rumore, così Edward decise di entrare. Prima di farlo ordinò a un suo di collega di posizionarsi sul retro e all’altro di stare fermo sulla soglia. 

Aprì la porta molto lentamente con la mano sinistra tenendo la mano destra in avanti con la pistola puntata e l’indice sul grilletto. Nulla. Voltandosi a destra vide un’altra porta socchiusa dal quale proveniva una luce soffusa e decise di andare a controllare. Aprì la porta con lo stesso metodo e quando fu dentro non credette ai suoi occhi. Su una poltrona in pelle era seduto un bambino e lo stava fissando con occhi freddi, come un automa. Lui lo guardò per un istante e gli tornarono alla mente le parole di Charles.

Si chiama Bryan è un bambino di sette anni, alto un metro e trentanove e pesa trenta chili. Ha dei capelli riccioli biondi e gli occhi marroni. 

Tutto corrispondeva. 

≪Bryan?≫ domandò con voce tanto incredula quanto spaventata.

≪Si sono io.≫ La voce del bambino era fredda e glaciale, come se venisse da un altro mondo.

≪Sei tu che hai chiamato?≫

≪Si. Loro sono lì.≫

Il piccolo bambino indicò col dito il divano accanto alla parete sul fianco della porta. Edward seguì l’indicazione e si ritrovò a fissare i corpi di Charles e Margareth privi di vita. Entrambi avevano la testa buttata all’indietro contro lo schienale. La gola era stata tagliata da parte a parte e non lasciava spazio all’immaginazione. I vestiti e il divano di stoffa avevano il colore vermiglio del sangue. Edward tornò a guardare Bryan. 

≪Sei…sei stato tu?≫ Il tono di Edward era colmo di incredulità, non riusciva a capire come fosse possibile quanto stesse accadendo.

≪Si sono stato io.≫ 

≪Perché hai ucciso i tuoi genitori?≫

≪Loro non erano i miei genitori. Erano gente cattiva ed è giusto uccidere la gente la cattiva.≫

≪Bryan cosa stai dicendo?≫

Edward stava cadendo in un vortice di confusione. Per la prima volta, in quindici anni di carriera, si trovava davanti a un bambino che dichiarava di aver ucciso due persone cattive. E, cosa ancora più strana, negava che quelle persone fossero i suoi genitori.

≪Dico la verità. Loro erano gente cattiva. Io non ho i genitori. Me l’ha detto il robot con la maschera.≫

≪Il robot con la maschera?≫

≪Si. E’ bravo. Lui mi ha trovato abbandonato e mi è sempre stato vicino. Poi mi ha detto che io dovevo aiutarlo.≫

≪Aiutarlo come?≫

≪Dovevo uccidere queste due persone cattive al posto suo. Lui non può perchè non ha le mani. Sono loro che gliele hanno tagliate…≫

 

Edward era sempre più scioccato. Non solo il bambino non aveva idea di aver ucciso i propri genitori, ma li stava accusando di aver tagliato le mani ad un robot con una maschera che si era sempre preso cura di lui.

Edward ordinò a Jake di chiamare un’ambulanza e far delimitare la zona. Disse loro che il colpevole era il ragazzino e loro non furono meno sorpresi di lui. Edward e Bryan tornarono alla centrale proseguendo la loro conversazione senza ulteriori sviluppi. Bryan aveva detto tutto quello che sapeva. Decisero di sottoporlo a degli esami specifici per vedere se il bambino aveva subito maltrattamenti o influenze di ogni tipo, magari per effetto di droghe o medicinali. Mentre Bryan eseguiva i vari controlli, Edward cercava una logica nel caso. La priorità assoluta era scoprire chi si nascondeva sotto quel travestimento da robot con le mani amputate. Un paio d’ore dopo chiamarono per comunicargli gli esiti degli esami.

≪Edward, ho i risultati. Non ci sono segni di maltrattamento fisico, tuttavia il bambino è affetto da amnesia retrograda.≫

≪Amnesia?≫

≪Esatto. Sicuramente è per quello che non ricorda i suoi genitori.≫

≪Capisco. Hai detto che non ha segni di maltrattamento, quindi deduco non abbia subito nemmeno traumi cranici che possano aver provocato l’amnesia. Giusto?≫

≪Esatto. L’amnesia però può svilupparsi anche per gravi problemi circolatori. Tuttavia gli esami risultano tutti a posto. E’ come se il piccolo fosse stato sottoposto al lavaggio del cervello.≫

≪Merda. Chiunque ha fatto questo la pagherà. Tenete Bryan sotto osservazione, nel frattempo dica a Jake di cercare un istituto che si possa prendere cura di lui.≫

≪Sarà fatto.≫

Edward tornò a casa verso mezzanotte e Iris lo stava aspettando a letto. Lui la raggiunse e iniziò ad accarezzarla, raccontandole del piccolo Bryan. 

 

La sveglia suonò alle sei come ogni mattina. Edward non aveva riposato bene, ma guardando Iris, che dormiva come un angelo, abbozzò un mezzo sorriso. Era sempre stato innamorato dell’espressione che aveva quando dormiva. Ogni volta che posava lo sguardo su di lei non poteva non desiderare di accarezzarla o baciarla. Quella donna era assolutamente irresistibile. Edward le accarezzò il viso e dopo averle posato un bacio sulle labbra, si preparò per tornare al lavoro.

Jake lo stava aspettando al Dipartimento per informarlo che Bryan era stato affidato ad un istituto come richiesto. Edward annuì prima di scomparire in ufficio. La scrivania era colma di fogli, contenenti gli schedari di tutte le persone che avevano precedenti penali per rapimento o reati sui minori. C’erano persino le persone collegate ad esse. Erano circa le due e mezza del pomeriggio quando il telefono nel suo ufficio cominciò a suonare.

Dipartimento di Polizia di Denkel. Qui è il Detective Edward chi parla?

Mi chiamo Eric Starris e vorrei denunciare la scomparsa di mio figlio Martin.

L’agitazione nella voce di Eric si trasferì in un istante al cuore di Edward. Ebbe la conferma che quanto accaduto con Bryan non era un caso isolato. Edward cercò di mantenere calmo il tono di voce.

≪Da quanto manca suo figlio?≫

≪Da più di un’ora ormai. Esce da scuola alle tredici e non è mai tornato dopo le tredici e trenta. Mai. Inoltre non risponde al telefono.≫

≪ Non si preoccupi lo cercheremo. Potrebbe fornirci una breve descrizione?≫

≪Ha nove anni. E’ alto circa un metro e quarantacinque e pesa cinquanta chili. Ha i capelli a caschetto castani e gli occhi marroni.≫

≪Perfetto. Inizieremo subito le ricerche.≫

Quando la telefonata giunse al termine Edward si abbandono sulla poltrona e convocò Jake nel suo ufficio. Il ragazzo non tardò ad arrivare e fu subito informato della situazione. Le indagini partirono dalla scuola elementare di Denkel. 

Martin si era presentato a scuola in orario, come ogni mattina, e aveva seguito tutte le lezioni. Quando la campanella aveva suonato la fine della mattinata, si era incamminato verso casa come sempre. Jake, insieme ad altri colleghi, avevano iniziato un giro di domande per scoprire se qualcuno avesse visto o sentito qualcosa di strano. Ci volle più di mezza giornata prima di trovare uno straccio di indizio. Una signora sulla cinquantina aveva visto il piccolo Martin in compagnia di una giovane ragazza molto carina. I due sembravano andare d’accordo e conoscersi molto bene, poi la signora aveva svoltato nella direzione opposta e non aveva più visto nulla. Jake allora si era diretto a casa di Martin per chiedere ad Eric se sapeva chi fosse la ragazza. Ascoltata la descrizione, Eric affermò di conoscerla, dicendo che era la babysitter di Martin. Jake si fece dare il numero e contattò la ragazza, informandola che avrebbero dovuto interrogarla in merito al rapimento del piccolo Martin. La giovane fu scioccata ma subito disponibile, comunicando che nei prossimi dieci minuti si sarebbe recata al Dipartimento di Polizia di Denkel. 

Quando Jake pochi minuti dopo raggiunse il Dipartimento, la ragazza era già arrivata. Indossava dei pantaloncini e una semplice maglietta di cotone di colore viola. Osservandola Jake capì che la descrizione della signora era stata quasi perfetta. Il taglio di capelli, l’altezza, la corporatura, tutto. Era davvero molto bella. La ragazza si presentò come Michelle Finblue e Jake la invitò a seguirlo nel suo ufficio. Quando si furono accomodati entrambi il poliziotto iniziò con le domande. Michelle aveva fatto compagnia a Martin fino all’inizio della via in cui il piccolo abitava. Lei doveva trovarsi in palestra all’una e trenta quindi, quando aveva visto che mancavano solamente cinque minuti, aveva tirato dritto mettendosi a correre per non ritardare, mentre Martin aveva svoltato a destra. Non l’aveva accompagnato fino a sotto casa perché mancavano circa quattrocento metri e non avrebbe mai immaginato che gli sarebbe potuto accadere qualcosa. La sua versione fu confermata dall’istruttore della Beauty & Strong Fitness Club dichiarando che, all’una e trenta, Michelle era arrivata in palestra.

Nel frattempo, nell’altro ufficio, Edward stava facendo entrare uno alla volta tutti i potenziali sospettati per interrogarli. Purtroppo per lui, ognuno di loro nel presunto momento in cui furono avvenuti i rapimenti si trovava sul posto di lavoro. Edward aveva contattato i loro capi che dopo aver controllato il cartellino delle presenze avevano confermato la loro versione. Edward aveva anche chiesto se, in qualche modo, fosse possibile uscire di nascosto. Magari chiedendo a qualche collega di timbrare al proprio posto. Tutti i datori risposero che era impossibile. Il procedimento prevedeva che il lavoratore si presentasse al lavoro col proprio tesserino, il quale veniva controllato da una guardia all’entrata che ne controllava l’autenticità e segnava sul palmare che il dipendente era giunto sul posto di lavoro. Una volta dentro, la persona raggiungeva il magazzino o l’ufficio di sua competenza e timbrava il cartellino con l’apposita macchina. Infine Edward aveva chiesto di poter avere i nomi di tutte le guardie per poterle incontrare, non potendo escludere che il complice potesse essere una di loro.

Lasciò andare gli interrogati e diede una rapida occhiata allo schedario delle guardie. Nessuna aveva precedenti penali di alcun tipo e due erano addirittura ex militari. Furono interrogate a turno e ognuna di loro negò di aver coperto l’assenza di un dipendente. Molte di loro avevano una nitida sincerità negli occhi, ma altre (forse per via dell’agitazione) sembrarono titubanti. Al calar della sera non c’erano stati progressi, così Edward decise di sospendere le ricerche fino all’indomani. Inoltre mise sotto sorveglianza la casa del signor Starris e la scuola elementare in modo da prevenire ulteriori omicidi o rapimenti. 

Tornò a casa puntuale per cena e Iris era in cucina davanti ai fornelli. Iris andò incontro a suo marito e non mancò di notare che gli occhi di lui non erano mai stati così spenti e pensierosi come quella sera.

≪Che succede tesoro?≫

≪Oggi c’è stato un altro rapimento. Un bambino di nove anni. Ho interrogato almeno cinquanta persone e non ho nessun indizio.≫

≪Vedrai che si risolverà tutto. Tu sei infallibile ricordalo.≫

≪Lo so. Grazie amore mio.≫

 

La mattina dopo le ricerche continuarono e così la mattina ancora dopo e anche quella seguente. Sempre senza risultati. Il quarto giorno Edward si stava convincendo che forse sarebbe stato meglio chiedere l’intervento di forze speciali, ma il suo orgoglio ebbe il sopravvento e non lo fece. Decise di continuare da solo ancora per qualche tempo e se non fosse riuscito a trovare l’assassino, allora avrebbe chiesto aiuto alle forze speciali. I giorni successivi volarono, tra interrogatori e ricerche vane, fino a quando il settimo giorno non ricevette una nuova chiamata in piena notte.

Ho ucciso una persona. Venite al 34 di Larsen Street.

Una goccia di sudore scivolò per la spina dorsale di Edward, come un artiglio di ghiaccio. Rabbrividì. Sapeva già cosa avrebbe trovato in quella casa e tutto fu come aveva previsto. 

Martin era seduto al bordo del letto e suo padre giaceva accanto a lui con la gola tagliata. Il sangue uscito dalla ferita aveva inzuppato tutte le coperte. 

≪Salve. Ho ucciso l’uomo cattivo.≫ 

Edward non disse nulla, prese il piccolo e andarono subito alla centrale. Rimasero nel suo ufficio per un paio d’ore. La storia all’incirca fu la stessa. Il bambino disse di aver perso il padre e che il robot con la maschera si era preso cura di lui. L’unica differenza venne fuori quando Edward gli chiese delle mani. Quel “robot” aveva le mani, ma gli mancavano i piedi e per questo era costretto a stare su una sedia rotelle. Ad amputarglieli era stato il padre di Martin, così quando il robot gli aveva chiesto di ucciderlo lui l’aveva fatto. I controlli confermarono che anche il piccolo Martin era stato colpito di recente da un’amnesia. 

Non ebbe nemmeno il tempo di prendere fiato che il telefono prese a squillare… ​

 

Edward osservò il telefono come un oggetto maledetto. Sentiva l’angoscia mischiarsi al sangue, rendendolo pesante. Non aveva mai avuto tanto timore di rispondere a quel telefono. Terminata la conversazione si lasciò cadere sulle ginocchia. Un altro rapimento, una bambina di otto anni di nome Eveline. La madre aveva detto che la piccola era uscita a giocare in cortile prima di cena e quando l’aveva chiamata per rientrare non c’era più. Edward iniziò le ricerche dopo aver avvisato Iris dell’accaduto.

Tutto fu come nei precedenti casi. Una settimana di ricerche a vuoto e infine la telefonata. Edward aveva raggiunto la casa della vittima e aveva trovato la bambina. Solita storia del robot, ma stavolta invece che piedi o mani, mancavano gli occhi, e stesso riscontro di una recente amnesia negli esami. 

≪E’ un fottuto. Rapisce bambini e li trasforma in killer a sangue freddo. Ma come cazzo è possibile che non ci siano tracce. Abbiamo controllato tutto.≫

Fu proprio mentre terminava la frase che il telefono prese a suonare. Edward prese la cornetta furiosamente, aspettandosi un nuovo rapimento, ma non fu così.

≪Salve Edward. Ho vinto io, ormai credo tu l’abbia capito. Ci troviamo tra dieci minuti dove abitava Bryan.≫

La voce all’altro capo era elettronica, gelida e spaventosa. Edward pensò che fosse tutto un brutto scherzo, ma senza dire nulla riappese la cornetta e si precipitò al posto concordato. 

Tutto si presentava tranquillo, come ogni volta che i bambini erano riapparsi accanto ai cadaveri dei loro amati genitori. La porta era aperta e dall’interno usciva una luce gialla. Edward entrò.

Quando fu dentro richiuse la porta dietro di sé e una voce lo chiamo dal salotto. 

≪Prego Edward si accomodi pure.≫

Un brivido gli fece accapponare la pelle. Quella voce elettronica e diabolica faceva tutto un altro effetto dal vivo. La sentiva muoversi dentro le viscere come un serpente nevrotico. Estrasse la pistola e raggiunse il salotto. Una stanza arredata in modo raffinato, colma di quadri prestigiosi, l’unica cosa che stonava era sul divano. Una sagoma umana, che indossava quella che sembrava una tuta antiradiazioni color argento e un casco simile a un personaggio di fantascienza che distorceva la voce. Edward non ci pensò nemmeno un istante e puntò la pistola verso l’individuo.

≪Se fai un movimento ti apro un buco in fronte.≫

Le minacce non sembrarono sortire il minimo effetto e in tutta risposta lo strano soggetto invitò Edward a sedersi a lui.

≪Edward, sono qui per costituirmi non per farti del male≫

Edward non si accomodò. Ordinò all’individuo di levarsi la maschera. E così fu. I battiti del cuore acceleravano man mano che il casco robotico si sfilava e i primi tratti di volto comparivano. Quando fu smascherato Edward rimase sorpreso. Una donna. E lui la conosceva. Si trattava di Kelly Winchester, un ex chirurgo andata in pensione qualche anno prima. Era una carissima amica di sua moglie e un paio di volte avevano persino cenato insieme. Tutto questo gli sembrava impossibile.  

≪Kelly?≫

≪Eh si Edward. Sono proprio io il robot con la maschera. Avanti arrestami.≫

E cosi fu.

Edward raggiunse la centrale e interrogò Kelly sui precedenti omicidi, per conoscere motivazioni e altro. La donna rispose a tutte le domande senza indugi, confermando di essere ciò che diceva. Fu sottoposta a vari esami e quello che ne risultò non fu per nulla positivo. Kelly era stata colpita da una recente amnesia. Edward giunse alla conclusione che anche lei fosse stata usata dal vero Robot Mascherato come capro espiatorio. Tornò a casa, cenò insieme a Iris e parlarono del fatto che il Robot Mascherato era stato preso, ma che lui non ne era affatto convinto di com’erano andate le cose. Non riusciva a comprendere le motivazioni di Kelly. 

≪Ti ho sempre invidiato. Tu sei sulla bocca di tutti, sei L’Infallibile e io volevo far vedere che anche tu potevi fallire≫

Quelle parole suonavano strane come un uovo di pasqua a Natale. Se lei voleva dimostrare che lui poteva fallire, perché smettere? E soprattutto perché consegnarsi a lui e non a qualcun altro, in modo da sminuire Edward pubblicamente? Mise fine ai suoi dubbi pensando che il gesto fosse per una sfida personale e che Kelly non avesse avuto il minimo interesse a rendere pubblica la sua vittoria. Con questo pensiero si mise a letto e dormì fino al mattino.

Giunse sul posto di lavoro alle otto e trenta. Era passato quasi un mese dall’ultimo rapimento quando il telefono squillò. Edward rispose e venne a conoscenza di un furto in una piccola tabaccheria. Chiamò una pattuglia e nell’arco di un paio d’ore fu tutto risolto.

Stava per andare a casa, quando il telefono prese a squillare per la terza volta in quel giorno.

≪Vorrei denunciare una scomparsa. Si tratta di mio figlio Kevin, ha solo otto anni e non è ancora rientrato a casa≫

Edward impallidì e un per un istante temette di svenire. L’incubo era ricominciato. Nonostante era preparato all’evenienza il colpo fu piuttosto duro. Rispose che se ne sarebbe occupato subito e così fu. La sera stessa iniziarono le ricerche, come sempre con risultati negativi. Trascorse una settimana e Kevin fu ritrovato accanto al corpo di suo padre e sua madre. Il procedimento fu lo stesso e i risultati identici. Amnesia.

L’unica differenza stava sempre nel robot mascherato, a cui ora mancava un braccio. 

Edward tornò ad indagare su ogni persona appartenente al campo medico e chimico, ma senza risultati positivi. La memoria poteva venire cancellata tramite droghe chimiche, ma dagli esami del sangue non era rinvenuto nulla. Avevano anche tentato di usare un bambino come esca, ma il Robot Mascherato non ci era cascato. Ormai nessuno sapeva più cosa fare. Il Robot sembrava conoscere ogni loro mossa.

Il sole stava tramontando e tutti erano ancora sul posto di lavoro, quando arrivò la notizia della scomparsa di Robert, un bambino di sei anni. Decisero che il settimo giorno avrebbero chiamato le forze speciali e il caso sarebbe passato nelle loro mani. Dispiaceva ammettere la propria incapacità, ma era l’unica soluzione possibile. 

Edward giunse a casa verso la mezzanotte e si sfogò tra le braccia amorevoli di Iris che lo accarezzava silenziosa. Era veramente distrutto. 

 

Il settimo giorno era appena cominciato e tutti sapevano cosa volesse dire. Nonostante gli insuccessi delle altre volte, decisero di riprovare a nascondere Edward in casa dei genitori di Robert. Quella volta sarebbe stato diverso. Edward lo immaginava, anzi lo sentiva. Tutto era cominciato quella notte. Nel sonno aveva udito una voce dentro di lui che continuava a gridare che doveva farlo. Era una voce familiare e dolcissima. Non sapeva perché, ma doveva farlo e così fece. 

Si recò all’angolo tra la Neirbord e la Westcrock, alla casa di William e Sally Dendon. Bussò e spiegò con poche parole le proprie intenzioni. Edward prese il cellulare e chiamò Iris per avvertirla che non sarebbe tornato a casa. Iris non replicò e gli mandò un bacio, ma quando riappese si sentì strana, vuota…

Nel pomeriggio, tutto cambiò. 

Edward era in salotto insieme a William e Sally quando sentirono aprire la porta. Ognuno rimase fermo al suo posto. La tensione era palpabile e i nervi di tutti sembravano corde di violino. Gocce di sudore, gelide e solenni, cominciarono a imperlare le loro fronti. Pochi minuti dopo Robert comparve davanti a loro. Non aveva nessuna arma e non dava l’impressione di avere intenzioni ostili. Era spento. Gli occhi erano vitrei e in volto mostrava un intenso pallore. William e Sally non resistettero all’impulso di corrergli incontro ma Edward li bloccò.

Robert alzò il braccio destro e con l’indice della mano indicò Edward.

≪Ora tu mi ascolterai senza fiatare e tutto sarà finito≫

La voce di Robert era ferma e decisa. Una voce da adulto nel corpo di un bambino. Edward non ribattè, annuì soltanto.

≪Tu, Edward l’Infallibile, anche se forse sarebbe meglio dire Edward l’Egocentrico, non hai mai perso occasione di vantarti della tua bravura, dei tuoi successi, senza pensare che le persone accanto a te potessero sentirsi inferiori ed infelici. Il Robot Mascherato voleva provarti che tu non sei infallibile. Tu, come tutti, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. Nei tuoi casi avevi sempre accanto Jake. Svolgeva indagini e faceva chiamate per conto tuo, eseguiva ogni tuo ordine, ti aiutava a raggiungere la soluzione di ogni caso. Hai mai pensato a come si sentisse vedendoti prendere tutto il merito? Quanto potesse odiarti? A quanto avrebbe voluto dimostrarti che non sei infallibile? Tu eri su tutti i giornali, sempre in prima pagina e lui era solo una didascalia a fine articolo, nonostante il merito fosse di entrambi. Ma tu eri sempre troppo impegnato a vantarti dei tuoi successi per pensarci. E’ tutta colpa tua Edward.≫

Il sangue di Edward gli marcì nelle vene, davanti a quelle parole. Non ci aveva mai pensato, così come non aveva mai sospettato di Jake. Ora era tutto chiaro. I falsi allarmi, le indagini che non davano risultati e soprattutto il nemico che conosceva in anticipo ogni loro mossa. Lo psicopatico era sempre sotto i suoi occhi e lui non l’aveva mai visto. Era stato ingannato da colui che aveva sempre considerato un allievo.Allievo. Pensando a questa parola Edward comprese che lui non aveva mai visto Jake come un compagno, ma solo come un allievo. Uno che doveva imparare da lui, imparare dal maestro. 

Edward abbandonò i propri pensieri e parlò con voce rotta.

≪Stai dicendo che è stato Jake?≫

Robert osservò in silenzio per un attimo prima di riprendere la parola.

≪ Io sto solo dicendo quello che mi è stato ordinato. Ha detto che tu avresti capito, Eddie Raggio di Luna…≫

 

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