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Litania di Morte

 

Agosto era alle porte. Quella sera la temperatura era piacevole e nell’oscurità splendeva l’insensibile sorriso della luna.

Susan Flower era sdraiata sul vecchio divano  di pelle che occupava il centro del salotto. Il divano, così come l’intera casa, fino a due anni prima era appartenuta a suo nonno. L’aveva costruita lui stesso con le proprie mani, in anni e anni di duro lavoro, che però aveva dato i suoi frutti. 

Susan era stata innamorata di quella casa fin da bambina. Amava quel senso di conforto che gli trasmetteva, come un’immensa coperta morbida e calda. Col passare del tempo aveva imparato ad apprezzare anche l’odore acre dei mobili di suo nonno che trasudavano vecchiaia attraverso le fibre del legno. Quello che però aveva acceso di più l’amore della piccola Susan era il panorama. Le finestre a nord della casa, mostravano un lago bellissimo.Ogni volta che passava la notte da suo nonno, metteva la sveglia all’alba. Il sole sorgeva lento, dipingendo a suo piacere sull’acqua cristallina del lago. Una pennellata rosa di qua, una arancione di là, una sfumatura di giallo sopra, uno sputo di rosso sotto, et voilà, ecco che il lago assumeva un aspetto magico. Susan lo guardava sempre. Tutti questi motivi spinsero suo nonno a decidere che fosse Susan a ereditare la casa. E così all’età di ventitré anni Susan ereditò la casa e si trasferì immediatamente.

Quella sera stava guardando un film che le era stato consigliato da Rebecca Moneen, mentre sgranocchiava patatine al formaggio. Non aveva realmente voglia di guardarlo, ma aveva ancora meno voglia di sopportare la sua amica che ogni giorno le chiedeva se alla fine l’aveva visto. Fidati ti piacerà un sacco, aveva detto. Fino ad ora non era stato così e la metà del film era già stata superata da una ventina di minuti. L’orologio del lettore DVD segnava le undici e quaranta e che mancavano trentadue minuti alla fine del film. Dubitava che avrebbero potuto cambiare la situazione, soprattutto per il fatto che ormai era stanca. Gli occhi aveva iniziato a lacrimare prima e socchiudersi poi, mentre la bocca continuava a spalancarsi in sbadigli sempre più lunghi e frequenti. Lanciò un occhiata distratta verso la finestra. Non notò nulla.

Nascosto tra le foglie, dipinte di nero dalla notte, osservava. Osservava e sussurrava.

Parole antiche, così pericolose che il tempo stesso aveva provveduto a cancellare. O almeno così aveva creduto fino a quel momento.

L’acqua del lago iniziò a sussultare, come se stesse respirando. Un respiro lieve e impercettibile. 

Un alito di morte.

I vecchi del paese, che si erano sempre dati battaglia sulla quantità di pesci presenti nel lago, quella sera avrebbero potuto dar fine alle discussioni contando il numero di corpi che galleggiavano sulla superficie dell’acqua.

Il nero del cielo divenne ancora più nero, avvolto da un alone carico di odio e sciagura. L’aria divenne gelida e morta. Soffiando contro le fronde che celavano l’ignoto, riproduceva i lamenti di miliardi di anime intrappolate dalle catene della paura, dell’odio e della disperazione. Il ghigno della luna, che fino a pochi attimi prima si specchiava fiero e impassibile nell’acqua, aveva iniziato a tremare come se gli spasmi del lago si riversassero fino in cielo.

Gli alberi nelle vicinanze seccarono, lasciando cadere le foglie variopinte, mentre i fiori appassivano riversandosi su se stessi con un ultimo tetro inchino. Alcuni pipistrelli smisero di volare, precipitando al suolo privi di vita. Tutto questo iniziò a mezzanotte e finì pochi istanti dopo.

Se Susan fosse stata in bagno, in quel momento, probabilmente avrebbe visto che le gocce che cadevano ritmicamente dal lavandino non erano più cristalline come l’acqua, ma rosse come il sangue. Tuttavia Susan non era in bagno, quindi non si accorse di nulla. Non aveva nemmeno la forza o la voglia di andare a sistemarsi nel letto, così decise di dormire sul divano. Scrollò la coperta che aveva addosso spargendo sul pavimento tutti i rimasugli di patatine, prese il telecomando e spense tutto quando il display segnava che mancavano ancora quindici minuti alla fine del film. Chissene frega, pensò e si girò sul fianco, chiudendo gli occhi.

Avvertì un brivido gelido lungo la schiena, poco prima di addormentarsi, quando l’orologio nel display segnava le ventiquattro.

Non si svegliò mai più.

Fu trovata la mattina seguente. 

Ad avvisare la polizia era stata Rebecca, che non avendola vista arrivare a lavoro si era preoccupata. Aveva preso in mano il telefono e composto il suo numero. Era rimasta in attesa, udendo il rumore della linea libera fino a quando non era caduta da sola col segnale di nessuna risposta. Aveva riprovato una seconda e poi una terza volta. Nulla. In dieci anni di amicizia non era mai successo. Spaventata aveva chiamato la polizia, spiegando loro la situazione. Meno di un ora dopo, aveva ricevuto la triste notizia.

Susan era stata trovata morta a casa sua, in circostanze che avevano del sovrannaturale. La ragazza era stata identificata dai documenti, in quanto il corpo era quello di una vecchia che, a giudicare dall’aspetto, avrebbe dovuto avere almeno duecento anni e non ventitré come riportato sulla carta d’identità. La pelle era colore della cenere ed era in uno stato di necrosi avanzata. I capelli avevano la consistenza della paglia e il biondo era mutato in bianco. Le palpebre era collassate all’interno delle orbite mostrando occhi privi di iride. Più tardi durante l’autopsia avrebbero constatato che anche gli organi interni erano in un avanzato stato di necrosi. Era come se quella ragazza fosse invecchiata di circa duecento anni nell’arco di pochi secondi. 

Oltre al ritrovamento della ragazza, a lasciare perplessi gli agenti fu anche la situazione nell’area circostante. Gli alberi appassiti, il lago stagnato ricoperto dai cadaveri in putrefazione di centinaia di pesci, che rendevano impossibile respirare senza provare il desiderio di vomitare. Furono prelevati vari campioni e fatti analizzare, alla ricerca di qualche possibile tossina. Nessuno dei test però diede risultati. Tutto risultava normale. 

Eppure quel macabro e decomposto scenario di normale sembrava non avere proprio nulla. 

Il giorno dopo la notizia era già stata riportata sul Deeper News. Charlie Meory, come ogni mattina, stava leggendo il giornale davanti al suo caffè e al suo piatto di pancetta fritta. Aveva l’età di Susan, nonostante ne dimostrasse almeno dieci in più, per via dell’alimentazione pessima e delle trenta o quaranta sigarette al giorno. A peggiorare ulteriormente la situazione ci aveva pensato quella che lui chiamava Moglie. La vodka. Fin da quando aveva compiuto ventunanni, l’anno in cui sua madre morì d’infarto alla giovane età di quarantatre anni, non c’era stata una sola sera in cui lui non si fosse scolato una bottiglia prima di andare a dormire. Alle volte aveva incubi nei quali rivedeva la scena di quando sua madre si era accasciata davanti a lui come un fiore che si china su stesso con triste eleganza. 

Samuel Calaran venne a sapere di quanto accaduto a Susan solo nel tardo pomeriggio. A informarlo della tragedia era stato Leonard Richman. Entrambi avevano venticinque anni e frequentavano un corso di musica. Samuel portava i capelli lunghi fino a metà schiena e vestiva sempre di nero. Indossava anfibi con la punta di ferro e sottili catene d’acciaio ornavano ogni suo vestito. Aveva un teschio tatuato sul lato sinistro del collo e una rosa su quello destro. Leonard almeno all’apparenza sembrava un tipo molto più tranquillo di Samuel. Portava i capelli corti, sempre ben pettinati e solitamente indossava blu jeans, una camicia e un maglioncino quando iniziavano le stagioni fredde. Non aveva piercing o tatuaggi di alcun tipo e sembrava in tutto e per tutto un damerino. 

L’apparenza inganna.

Anche Matt Fach aveva saputo la notizia da suo padre, che ogni giorno comprava il Deeper News. Aveva ventisei anni anche se ne dimostrava trenta per via della barba e del fisico flaccido. Si può dire che dalla vita aveva avuto tutto, eccetto due cose. Le palle e il cervello. 

Tutti loro registrarono la notizia come nulla di importante, nonostante ognuno di loro fosse andato a letto con Susan. Era successo la settimana prima e nessuno al di fuori di loro ne era a conoscenza.

Tutti loro facevano parte di un gruppo, al quale non avevano trovato ancora un nome definitivo. A fondare il gruppo erano stati Samuel e Leonard. Verrebbe da pensare che il loro fosse un gruppo musicale, invece non era così. In seguito si erano aggregati Charlie e Susan e per ultimo Matt. Ogni venerdì sera si trovavano a casa di Samuel e deridevano racconti horror. Nelle prime riunioni avevano deriso i racconti di A Volte Ritornano di Stephen King. Successivamente si erano accaniti sui Racconti Del Terrore di Edgar Allan Poe e i sette volumi de I Libri Di Sangue di Clive Barker. Nell’ultimo periodo, avevano preso di mira I Racconti Del Necronomicon di Lovecraft. 

Quel famoso Necronomicon contenente le formule segrete per riportare in vita i morti. Tutte cazzate. I morti sono morti. Sepolti e decomposti. Non tornano. 

Il giorno prima della morte Susan, si erano ritrovati come ogni altro venerdì a casa di Samuel. Dopo aver sfottuto per l’ennesima volta le teorie del Necronomicon, Leonard ebbe un idea. La espose agli altri e fu accolta volentieri da tutti.

Presero la station wagon di Leonard e si recarono al cimitero. Scavalcato il piccolo cancello in ferro battuto, iniziarono ad aggirarsi, torce alla mano, tra le varie lapidi. L’aria era tiepida e in cielo non c’erano stelle. Il silenzio era rotto soltanto dal frinire in lontanza di qualche grillo. Il cimitero non erano molto grosso e conteneva poco più di cento lapidi e qualche centinaia di loculi. Circa la metà di essi erano accompagnati da classici cerini funebri, le cui fiammelle danzavano creando una tetra ma stupefacente atmosfera. Prima di giungere al cimitero avevano deciso di passare a prendere qualcosa da bere. Charlie era passato a casa a prendere la sua bottiglia di vodka dicendo che in una serata speciale non poteva lasciare a casa sua moglie. Il resto degli alcolici consisteva in tre casse da dodici bottiglie di birra, due bottiglie di rum e del succo alla pera. Trovarono una lapide, grande ed elegante e si sedettero sopra di essa. Iniziarono a farsi un paio di chupito ciascuno versandosi rum e succo alla pera in bocca per poi mischiarli agitando velocemente la testa a destra e a sinistra, cosa che contribuiva a far aumentare il senso di ubriachezza e nausea. Tra una bevuta e l’altra a turno s’illuminavano il volto con le torce e inventavano storie dell’orrore, come piccoli boy scout in campeggio. Non erano dotati di molta fantasia e la maggior parte delle storie erano quasi identiche a racconti o libri che avevano letto. Matt, che tra tutti era quello con meno cervello, non aveva fatto altro che fondere insieme Cujo di King e Il Cane di Lovecraft. Il risultato fu un aborto. Un applauso per la fantasia.

Non ci volle molto prima che la nottata degenerasse a causa del troppo alcol e dei troppi pochi neuroni presenti. Susan era completamente ubriaca e iniziava a sentire caldo. Indossava un paio di jeans attilati e una camicetta bianca. Senza pensarci minimamente sbottonò la camicetta e la tolse, mettendo in mostra un seno sodo e abbondante coperto solo da uno striminzito reggiseno di pizzo. 

Fu come mostrare due grosse polpette di carne a quattro cani affamati.

Per i primi due minuti ci furono apprezzamenti e battutine di ogni genere, poi si andò oltre. Cinque minuti dopo il reggiseno bianco si trovava per terra mentre i quattro ragazzi a turno baciavano e toccavano il seno della ragazza che accompagnava le loro gesta con risate ubriache. Dieci minuti più tardi a far compagnia al reggiseno c’erano anche i jeans e le mutande, anch’esse di pizzo bianco. Susan giaceva sdraiata sulla lapide e ansimava mentre i quattro giovani godevano di tutto il suo corpo. Quando tutto finì, nessuno gli diede peso, come se fosse stato parte del programma. Tuttavia la stanchezza iniziava a farsi sentire e decisero di tornare a casa. Prima di avviarsi si voltarono un ultima volta verso la lapide che aveva ospitato, se così si può dire, della loro prima orgia.

Papillon De Festis 1781 + 1814

Osservarono il nome in silenzio per qualche secondo, poi scoppiarono a ridere. Iniziarono a fare battute sul nome del defunto, fino a quando Leonard propose di pisciare sulla lapide e così fecero. Susan fu la prima. Quando ebbe finito si pulì con un fazzoletto e lo gettò li accanto. Subito dopo inziarono a urinare i ragazzi. Fu sempre Leonard, non soddisfatto, a proporre di buttare giù la lapide. 

Iniziarono a prenderla a calci da tutte le parti e poco dopo la lapide cedette, riversandosi sul suolo. Charlie, che era quello che aveva bevuto più di tutti e che aveva avuto maggior foga nel scoparsi Susan, risentì ulteriormente di quella breve ma agitata lotta con la lapide e finì per vomitarci sopra. Samuel fece cenno con la mano, richiamando gli altri al silenzio. Pronunciò frasi senza senso simulando una lingua antica simile al latino. Resuscitas Frocibus Defuntus. Pe Samuel Ser Balus, Resurgi e va a dar via il cu.Scoppiarono tutti a ridere come idioti. Correvano in tondo fingendo di scappare da uno zombie omosessuale che voleva abusare di loro. Dopodiché se ne andarono.

La lapide giaceva a terra, imbrattata di urina e vomito. Le scritte dorate erano rivolte verso la luna che, come se provasse pena per quello scempio, le faceva brillare con la sua luce donandole un briciolo di eleganza. 

Illuminata dalla luna la tomba vibrò. 

L’orologio nero, appeso sopra lo stipite della porta della cucina, segnava le ventitrè. Dalla finestra aperta, entrava un leggero sospiro di vento fresco accompagnato dal rumore di qualche automobile di passaggio, probabilmente diretta verso casa. Matt era seduto su una sedia di plastica dura,  con il busto riverso sul tavolo di vetro. Sul pavimento giacevano i resti accartocciati di sei lattine di birra. Non era mai stato ordinato. Per tutta la sua adolescenza era stata sua madre a occuparsi di tenere in ordine le sue cose. Lui doveva semplicemente sbattere tutto per terra e poi lei passava a pulire. Non dormiva ma le sei birre avevano dato una bella mazzata alla sua mente già poco sveglia per natura. Guardava con gli occhi socchiusi il televisore. Non che gli interessasse il vecchio film di guerra che trasmettavano, ma tra tutti i programmi quello era decisamente il più accettabile. Ad ogni sospiro che arriva dalla finestra dietro di sé rabbrividiva, infreddolito, ma non aveva la minima voglia di alzarsi per chiudere la finestra. 

Un sibilo di vento entrò dalla finestra, come un respiro vendicativo e lo afferrò per il collo. Fu un contatto liquido e gelido. La sua mente balzò prima in avanti mostrandogli tutto quello che non avrebbe più potuto fare e poi indietro mostrandogli tutto quello che aveva fatto. Il respiro diventò pesante e rovente, infiammando i polmoni già neri per il fumo. I muscoli iniziarono a decadere fino ad essere solo delle escrescenze gelatinose. Udì delle parole, lontane e incomprensibili. Pochi istanti era morto.

Il corpo fu ritrovato da Charlie Meory il pomeriggio seguente.

Aveva telefonato a Matt verso le due senza ricevere nessuna risposta. Poi, alle due e mezza e alle tre, aveva richiamato sempre con lo stesso esito, così si era recato a casa dell’amico. Diede una rapida occhiata in giro e quando vide che non c’era nessuno scavalcò il cancello. Il corpo di un vecchio centenario giaceva supino sul pavimento tra le lattine di birra. La pelle era marcita e migliaia di vermi strisciavano su di esso. Gli occhi erano bianchi e spalancati. Parte della mano sinistra era già stata mangiata, ma al polso c’era ancora il braccialetto dei Sex Pistols che portava sempre Matt.  Non riuscì a trattenersi di nuovo e cominciò a vomitare. 

Quando riprese il controllo del suo corpo, prese il telefono e chiamo immediatamente Samuel e Leonard, dicendogli che avrebbero dovuto recarsi al più presto a casa sua. Abbandonò l’abitazione di Matt, visionò che non ci fosse in giro nessuno prima di scavalcare il cancello e poi tornò a casa.

Abitava in un appartamento di periferia, squallido ma economico. Le pareti erano bianco opaco con chiazze di muffa negli angoli. Dalle finestre giungevano spifferi e i lavandini gocciolavano in continuazione. Intanto che attendeva l’arrivo dei suoi amici, si sedette sul vecchio divano sgangherato e si accese una sigaretta.

Samuel e Leonard arrivarono poco dopo. Notarono subito che qualcosa non andava. Il viso di Charlie era pallido e distrutto, come se si fosse appena svegliato dal peggiore degli incubi. Lui li fece accomodare e spiegò brevemente quanto era accaduto.

≪Perchè non hai avvisato la polizia?≫ Domandò Samuel quando Charlie ebbe finito. Il suo cuore impazzava nel petto e le mani avevano inizia a tremare. Sentiva la gola secca bruciargli ogni volta che deglutiva. Leonard era immobile e impassibile. Non fosse stato per il ritmico gonfiarsi e sgonfiarsi del petto, sarebbe stato dato per morto.

≪Avevo paura e ho preferito avvisare prima voi.≫

Parlarono per ore dell’accaduto, giungendo alla conclusione che non sarebbe stata una buona idea chiamare la polizia. Avrebbero lasciato che fossero loro a trovare il corpo. Quando il nome di Susan venne tirato fuori, il gelo e il silenzio avvolsero la stanza. Susan e Matt. Entrambi erano morti nello stesso modo, invecchiati di centinaia di anni. Entrambi avevano in comune solo una cosa. 

La sera stessa tutti decisero di tornare al cimitero, dove qualche settimana prima era avvenuta l’orgia. L’aria era fresca ma aveva il sapore della cenere. Samuel, Leonard e Charlie giunsero davanti alla tomba di Papillon De Festis. Un peso invisibile gli calò sul cuore. Due dei loro amici, ora non c’erano più. La tomba era stata risistemata, probabilmente dal guardiano del cimitero, e ora sembrava osservarli con tutta la sua solennità. Provarono un odio indescrivibile. Cominciarono a prenderla e calci, lanciando insulti nell’aria maligna di quella sera. 

Il tempo intanto scorreva e la mezzanotte stava arrivando. 

Stavano ancora prende a calci e sputi la tomba quando la videro vibrare davanti a loro. Pulsò nella terra come un cuore sanguinante. Un alito grigiastro e gelido fuoriuscì dalla lapide. Non ci pensarono un attimo e cominciarono a scappare fuori verso l’uscita del cimitero. Il fumo schizzò nella loro direzione. Tutto quello che sfiorava invecchiava e decadeva. Le lapidi si sbriciolavano come gesso, la terra moriva. Le foglie abbandonavo i rami degli alberi morenti, scomparendo nel fumo prima di toccare il suolo sul quale avrebbero dovuto riposare per sempre. 

I ragazzi cercavano di non voltarsi, terrorizzati da quanto avveniva alle loro spalle. Corsero con tutte le forze, tuttavia non ci fu speranza. Non si sfugge alla morte.  

L’alito gelido entrò nei loro orifizi. Fu il loro ultimo respiro.

Percepire la presenza glaciale di qualcosa all’interno del loro corpo, come una bestia di ghiaccio che si fa spazio tra gli organi divorandoli. La pelle cominciò a perdere elasticità, seccandosi e sbriciolandosi come antichi papiri. La stessa cosa toccò agli organi. 

La tomba vibrò ancora.

La lapide grigia cominciò a gonfiarsi, respirando i resti polverizzati dei ragazzi. L’ospite assaporò il sapore amaro delle loro paure e quello acre dei peccati. Erano così gustose le anime degli stolti. Se avesse avuto una lingua si sarebbe leccato le labbra, ma essa si era decomposta come il resto del suo corpo, ma sarebbe rinato presto. Ancora qualche ragazzo incosciente e sarebbe potuto tornare tra i vivi. Osservò le loro ossa rimaste in superficie, abbandonate sul terreno e illuminate dalla luce argentata della luna. 

Nascosto sotto terra, dietro il grigio della tomba, le osservava.

Osservava e rideva.

Risate così oscure che perfino il tempo stesso iniziò a tremare…

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